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Carla Accardi, Arancio verde (lenzuolo), 1972-76, pittura su stoffa, 280x230 cm, Collezione Roberto Casamonti, Courtesy Tornabuoni Arte

Carla Accardi

(Trapani 1924 – Roma 2014)

Dopo la formazione artistica avvenuta tra le accademie di Palermo e di Firenze, nel 1946 Carla Accardi si trasferisce a Roma. Nella capitale italiana la Accardi prende parte ai circoli e frequenta artisti e intellettuali, tra cui Attardi, Dorazio, Guerrini, Perilli e Turcato, con i quali è firmataria del manifesto del gruppo Formula 1. Negli anni seguenti il linguaggio artistico della Accardi si sintetizza sempre più avvicinandosi all’astrattismo. Attorno agli anni Sessanta la sua ricerca sposa le nuove tendenze optical e inizia a sperimentare supporti alternativi a quelli tradizionali, dipingendo su plexiglass e ricercando un’interazione tra l’opera, lo spazio e la luce. Negli anni Ottanta la sperimentazione si sposta ancora, soffermandosi adesso sul colore, creando contrasti cromatici ma ritornando ad un supporto più classico come la tela. Numerosissime le mostre in cui ha esposto, tra cui la Biennale di Venezia nel 1964, 1976 e 1978, per la quale, nel 1997, diventa consigliere della Commissione.

Doug Aitken, The 4th light, 2001, c-print, 122x155 cm, Collezione Nunzia & Vittorio Gaddi

Doug Aitken

(Redondo Beach 1968)

L’artista statunitense Doug Aitken studia illustrazioni e si laurea in Belle Arti in California prima di trasferirsi a New York dove, nel 1994, tiene la sua prima mostra. Le sue opere, che spaziano tra installazioni, film e interventi architettonici, interagiscono con l’ambiente per le quali vengono realizzate, quasi fossero interventi di Land Art, giocando con la luce, le superfici riflettenti e le percezioni spaziali. Le videoinstallazioni creano spazi fortemente immersivi grazie alla presenza di numerosi schermi e impianti sonori realizzati in maniera site specific. L’artista ha esposto in tutto il mondo, da Londra a Vienna passando per Berlino, Los Angeles e Seattle, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti quali il Premio Internazionale alla Biennale di Venezia del 1999 per l’installazione Electric Eearth, il Premio Nam June Paik Art Center nel 2012, e lo Smithsonian Magazine American Ingenuity Award: Visual Arts l’anno successivo.

Alighiero Boetti, Cinque X Cinque, 1988, lettere ricamate su cotone, Collezione privata

Alighiero Boetti

(Torino 1940 - Roma 1994)

Alighiero Boetti inizia la sua produzione artistica sul finire degli anni Sessanta, nella cerchia degli artisti dell’Arte Povera. Le sue opere rispecchiano la sua personalità caleidoscopica, spaziando tra i supporti ma mantenendo come fil rouge il tema dell’inesorabile scorrere del tempo. Molti suoi lavori consistono infatti nella ripetizione di “esercizi”, segni, formule matematiche e schemi per cercare di quantificare fenomeni non quantificabili per l’uomo; strutture di pensiero che ritroviamo quotidianamente nella nostra vita. Il suo interesse per il sud del mondo lo porta a far realizzare da ricamatrici Afgane alcune delle sue opere più celebri, quali le Mappe, grandi arazzi colorati realizzati nel corso degli anni, tramite le quali si possono registrare i mutamenti geopolitici del mondo. È più volte presente alla Biennale di Venezia, con una sala personale nel 1990 e con un omaggio postumo nel 2001.
Boetti ha influenzato generazioni di artisti e le sue opere sono presenti nelle collezioni dei più importanti musei al mondo.

Louise Bourgeois, Nest of Five, 1978, acciaio e legno, 28,5x131x44 cm, The Levett Collection

Louise Bourgeois

(Parigi 1911 - New York 2010)

Formatasi come scultrice all’Ecole des Beux-Arts di Parigi, la Bourgeois si trasferisce nel 1938 a New York, dove frequenta l’ambiente artistico internazionale e conosce artisti quali Duchamp e Le Corbusier. La sua arte indaga i temi quali la maternità – raffigurata dalle imponenti sculture di ragni filiformi – la sessualità – vista attraverso forme trasfigurate di membri maschili – e i rapporti familiari. Il corpo dell’artista diventa mediatore assoluto delle sue esperienze artistiche ed emotive. Nell’ultima fase della sua produzione troviamo l’utilizzo di stoffe e vestiti che vengono cuciti quali simbolo e metafora di cura, memoria e riparazione.  Le sue opere sono esposte in tutto il mondo, dalla Tate Modern di Londra al Mori Tower di Roppongi Hills a Tokyo, passando per il Centre Pompidou di Parigi, la Fondazione Prada di Milano e la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova a Venezia.

Cecily Brown, Couple, 2003, olio su lino 228,6x203,2 cm, The Levett Collection

Cecily Brown

(Londra 1969)

Dopo la laurea alla Slade School of Art di Londra, la Brown si trasferisce a New York dove attualmente vive e lavora. La sua arte risente dell’influenza dell’espressionismo, sia da un punto di vista cromatico che nella crudezza con cui i temi vengono presentati. Le masse evanescenti dei corpi raccontano in maniera schietta la vita, con riferimenti espliciti sia all’erotismo che alla caducità dell’esistenza. In Cecily Brown è labile il confine tra figurazione e astrazione, e le sue figure tese e talvolta violente si riconoscono ed emergono dal gorgo di colore solo dopo un primo sguardo in cui si notano le vibranti pennellate. Cecily Brown ha esposto nei musei quali il MACRO di Roma nel 2003, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid (2004) e il Museum of Fine Arts di Boston (2006).

Daniel Buren, Peinture émail sur toile de coton, 1965, smalto su tela di cotone (verde), 225,5x192 cm, Collezione privata

Daniel Buren

(Boulogne-Billancourt 1938)

Formatosi presso l’École Nationale Supérieure des Métiers d’Art di Parigi, Daniel Buren sviluppa ben presto il suo personale linguaggio espressivo, fatto di strisce colorate alternate dal colore bianco. Le sue opere definiscono lo spazio, occupano facciate di palazzi tramite drappi di tessuto bicolore. Ben presto compare nei suoi lavori l’elemento della luce che si inserisce nel preesistente binomio bianco-colore tramite pannelli specchianti, che creano effetti caleidoscopici, di trompe-l’œil e un interessante fusione tra interno ed esterno. A partire dagli anni ’80 Buren abbandona la pittura per lavorare in funzione e dentro lo spazio, realizzando una nuova visione di quest’ultimo, in continuo dialogo con il fruitore che si traduce anche in vere e proprie architetture in cui muoversi e interagire liberamente. Nel 1986 ha partecipato alla Biennale di Venezia vincendo il Leone d’Oro come miglior Padiglione.

Alberto Burri, Bianco cretto, 1974, acrovinilico su tavola, 70 X 112 Collezione privata, Firenze

Alberto Burri

(Città di Castello 1915 – Nizza 1995)

Laureato in medicina, Burri diventa medico dell’esercito italiano durante la Seconda Guerra Mondiale. Durante il conflitto viene fatto prigioniero e portato negli Stati Uniti d’America, dove inizia ad avvicinarsi alla pittura. Tornato in Italia dopo la fine delle ostilità belliche, nel 1951 partecipa alla fondazione del gruppo Origine, dando avvio alla ricerca sulla materia tramite la serie dei Gobbi, delle Muffe ed i Sacchi, che prosegue con le combustioni, nelle quali l’artista brucia in maniera controllata materie plastiche. La deformazione del materiale, considerato alla stregua della pittura ad olio, lascia trapelare la drammaticità dell’orrore della guerra e dei suoi risvolti esistenziali. Negli anni Settanta approda alla serie dei Cretti, dove le superfici vengono a creparsi e aprirsi. Quest’ultima serie diventerà, con il passare del tempo, sempre più monumentale fino ad arrivare a coprire l’intera superficie del paese di Gibellina, in Sicilia, protagonista del tragico terremoto nel 1968.

Primo Conti, Il Limonaro, 1919, olio su tela, 91x56 cm, Collezione privata

Primo Conti

(Firenze 1900 – Fiesole 1988)

Pittore, musicista e scrittore, Umberto Primo Conti aderisce a soli diciassette anni al movimento futurista, dopo averne conosciuto i principali esponenti quali Giacomo Balla e Filippo Tommaso Marinetti. Ben presto il suo stile si evolve verso la metafisica, per poi cambiare ancora negli anni successivi, con opere a tema religioso, con le quali parteciperà alla XIV Biennale di Venezia. In questo periodo Primo Conti tenta di trasportare nella sua pittura la modernità contemporanea e accosta gli elementi religiosi a quelli più aspramente moderni. Alla fine degli anni Venti inizia a collaborare con il cinema e il teatro, frequentando a Firenze numerosi intellettuali e artisti tra cui Ottone Rosai e Alberto Savinio, e lavorando anche ad alcune scenografie per il Maggio Musicale Fiorentino.

Giorgio De Chirico, Enigma politico, 1938 (firmata e datata 1915), olio su tela, 70,5x82 cm, Collezione privata, Firenze

Giorgio De Chirico

(Volo 1888 - Roma 1978)

Nato in Grecia da genitori italiani ed estremamente affascinato dalle opere dello svizzero Arnold Bocklin – che coniugano la classicità italiana al romanticismo tedesco – Giorgio de Chirico, fa della sua arte un punto di incontro tra la mitologia greca e la filosofia di Nietzesche. Già nei dipinti degli anni Dieci le citazioni del filosofo tedesco sulle piazze italiane si sposano con atmosfere oniriche, dando origine alla serie delle Piazze d’Italia: spazi deserti dipinti in una calda luce mediterranea, che ci inganna nel cercare di definirne la collocazione temporale e con numerosi punti di fuga, distraggono l’occhio intento nel decifrare la giusta lettura dell’immagine. Questa caratteristica del rebus, dell’enigma, si rinforzerà dopo il 1917, quando de Chirico diventerà uno dei fondatori della metafisica insieme al fratello Alberto Savinio e a Carlo Carrà, in cui gli elementi classici dialogano con oggetti quotidiani, sullo sfondo di atmosfere misteriose e oniriche.

Elaine De Kooning, Stalactite Wall, 1987, acrilico su tela, 213,4x167,6 cm, The Levett Collection

Elaine De Kooning

(Brooklyn 1918 - Southampton 1989)

Da molti considerata una delle voci più autorevoli dell’espressionismo astratto, Elaine de Kooning, mantiene un acceso interesse per la figura e la figurazione. L’astrattismo trapela dalla tecnica pittorica, dalle pennellate vibranti e dal gesto pittorico con le quali velocemente cattura l’essenza del soggetto ritratto. La De Kooning inizia a prendere lezioni di disegno da quello che nel 1943 diventerà suo marito, Willelm De Kooning, realizzando ritratti di parenti o di artisti presenti nella sua cerchia di amici, nature morte e paesaggi urbani, e fondendo via via l’astrazione con la mitologia, le immagini primitive ispirate a disegni rupestri e il realismo, in una combinazione tra pittura e disegno, superficie e contorno, tratto e linea, colore e luce, trasparenza e opacità.

Olafur Eliasson, The Domadalur daylight series (North), 2006, 35 c-print, 155x300 cm, Collezione Nunzia & Vittorio Gaddi

Olafur Eliasson

(Copenaghen 1967)

Nel lavoro di Olafur Eliasson, artista danese di origini islandesi, il pubblico viene posto al centro dell’opera. Le sue opere diventano significative solo nell’incontro con i visitatori, per ciascuno dei quali acquisiscono un significato diverso, legato appunto all’unicità della visione e della percezione del singolo. Le impressioni di ciascun soggetto vengono quindi a confrontarsi con i sistemi tecnologici che mettono in scena fenomeni naturali, rispecchiando l’attenzione dell’artista per le problematiche ambientali odierne, come lo scioglimento dei ghiacciai o l’incremento continuo dell’inquinamento. L’arte diviene stimolo di riflessione entrando in contatto diretto con essa. E l’osservazione dell’arte, peculiare per ogni essere umano, è oggetto della continua ricerca dell’artista, concentrato sull’equilibrio tra la sfera emotiva e quella percettiva.

Tracey Emin, Hurricane, 2007, olio su tela, 182,8x182,8 cm, The Levett Collection

Tracey Emin

(Londra 1963)

Artista tra le più influenti del gruppo dei Young British Artists (YBA), Tracey Emin è attualmente tra le prime due docenti donne della Royal Accademy di Londra dalla sua fondazione nel 1798. La sua arte racconta del suo vissuto in maniera inequivocabile e intima. Senza limitarsi ad un solo medium propone momenti di estrema fragilità emotiva, dolore fisico e perdita, esplorando sé stessa e allo stesso tempo l’universalità dei sentimenti. Come i suoi maestri d’elezione, Schiele e Munch, la Emin indaga le profondità dell’animo umano, nelle sue lacerazioni e nei suoi drammatici risvolti. Le sue opere raccontano senza filtri le proprie drammatiche esperienze, siano esse la burrascosa fine di una relazione, gli stupri subiti o il racconto di un aborto, spaziando dalle sculture ai dipinti fino ad approdare alla videoarte, alle installazioni e alla fotografia.

Tano Festa, Via del lavoratore 83, 1961, acrilico, carta e legno su tela, 140x180 cm, Collezione privata

Tano Festa

(Roma 1938 – 1988)

Nome di spicco della pop art romana, Tano Festa abbraccia nella sua arte anche soluzioni vicine al mondo new dada, attraverso l’uso di supporti e materiali differenti. L’opera in mostra viene realizzata in uno degli anni di svolta per Festa il quale, proprio nel 1961, organizza la sua prima mostra personale presso la galleria La Salita di Gian Tomaso Liverani a Roma e, seguita nello stesso anno dalla partecipazione alla XII edizione del Premio Lissone. In seguito i suoi lavori spaziano anche nella reinterpretazione dei grandi autori della tradizione rinascimentale italiana, riletti in chiave pop attraverso l’utilizzo di elementi rubati al mondo della grafica pubblicitaria, oltre a soggetti reinterpretati dalla tradizione italiana e rinascimentale. Invitato nel 1980 alla Biennale di Venezia, muore otto anni dopo a seguito di una lunga malattia.

Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1963, olio, squarcio e graffiti su tela verde, 93x80 cm, Collezione privata, Firenze

Lucio Fontana

(Rosario di Santa Fé 1899 – Comabbio 1968)

Tra i più importanti interpreti italiani del dopoguerra figura, senza dubbio, Lucio Fontana. L’ecletticità dell’artista gli permette di sondare vari terreni e approcci, realizzando per tutta la vita sia opere pittoriche che sculture. La sensibilità di Fontana per la materia e per la visione scultorea dell’arte si traducono nel suo modo di concepire la pittura che lo portano a manipolare la superficie del quadro e ad indagarne la sua spazialità. Nel 1949 inizia la serie dei Buchi/Concetti Spaziali, opere pittoriche in cui supera la tela sfregiando il supporto pittorico con fori e crateri, per permettere all’occhio di indagare lo spazio oltre la tela attraversandola. Questa ricerca artistica verrà portata avanti da Fontana per tutta la sua carriera, e lo renderà celebre e riconosciuto in tutto il mondo.

Renato Guttuso, Natura morta con libri e cesto, 1957 olio su tela, 109x65 cm, Collezione Franco Farsetti, Prato

Renato Guttuso

(Bagheria 1911- Roma 1987)

La carriera artistica di Renato Guttuso inizia prestissimo e fin da subito rivela il suo carattere sociale, di impegno morale e politico. Per Guttuso l’arte deve rappresentare l’adesione alla vita, alle fatiche e alle lotte delle classi più deboli e sottomesse. La pittura penetra la realtà osservata per poi ricreare, sulla tela, un suo equivalente capace di trasmettere “la quantità di carne viva” che in essa pulsa. L’artista diviene così capace di gestire l’orrore e la violenza, sfruttandone la forza comunicativa ed accompagnandola con l’informale, suscitando un’empatia emozionale attraverso l’astratto ma non abbandonando mai il linguaggio figurativo realista.

Damien Hirst, Zinc Chloride, 2002, cloruro di zinco e pittura su tela, 183 cm, Collezione privata

Damien Hirst

(Bristol 1965)

Nome di punta degli Young British Artists, Damien Hirst debutta sulle scene artistiche negli anni Novanta, e, da allora, non ha mai smesso di far parlare di sé e della sua arte. Hirst indaga in maniera provocatoria il fragile confine tra realtà e finzione, il rapporto tra vita e morte e il loro contrapporsi continuo. Ma anche le loro similitudini, come nel caso della serie di animali in formaldeide, immobilizzati per sempre in uno stato di morte ma incapaci di deteriorarsi proprio grazie al fluido in cui sono immersi. Tra le opere più famose vi sono anche gli Spot Painting, serie di oltre 1000 dipinti, di cui i più vecchi risalgono al 1986, composti da punti colorati di dimensioni variabili e con composizioni sempre diverse. A proposito di queste opere Hirst dice: “Non ci sono ancora due colori che si ripetono in ogni dipinto, il che è molto importante per me. Li considero come cellule al microscopio”.

Pierre Huyghe, Chantier Permanent, 1993, foto, 94x142 cm, Collezione Privata, Firenze

Pierre Huyghe

(Parigi 1962)

Protagonista della scena artistica francese e internazionale a partire dagli anni ’90, Pierre Huyghe realizza opere che spaziano dalle installazioni alla fotografia, approdando alla creazione di una rivista e al cinema. La sua ricerca si concentra sulla veridicità dell’immagine attraverso le sue molteplici letture, e su come queste possano influire sulla realtà. Nell’idea di Huyghe non è l’immagine ad essere esposta al visitatore ma il suo contrario, nella ricerca di una interazione tra osservatore, opera e spazio circostante. Il momento espositivo diviene parte del percorso artistico, facendo emergere nuove realtà in linea con l’idea che la relazione, ricercata sia con collaborazioni artistiche ma anche di intere comunità, offra l’opportunità di un dinamismo artistico frutto della relazione interpersonale e del dialogo sociale. Le sue opere sono state esposte nei maggiori musei del mondo dal LACMA di Los Angeles nel 2014, al Ludwig Museum di Cologna nello stesso anno, al Centre Pompidou (2013), al Reina Sofía di Madrid (2010), alla Tate Modern di Londra (2006), al Castello di Rivoli (2004). Nel 2001 ha ricevuto il premio speciale della Biennale di Venezia per il Padiglione Francese.

Paul Klee, Landschaft mit dem Tor, 1937, tempera su carta, 64x53 cm, Courtesy Collezione Gori — Fattoria di Celle, Pistoia

Paul Klee

(Münchenbuchsee 1879 - Locarno 1940)

Noto non solo per aver preso parte al movimento Der Blaue Reiter, guidato da Kandinsky, Paul Klee è stato uno tra i maggiori esponenti della corrente dell’astrattismo nel primo Novecento. Figlio di un musicista e di una cantante, fin da giovane accompagna gli studi d’arte alla sua grande passione per la musica, cimentandosi con successo in varie discipline fino a trovare nella pittura il suo linguaggio prediletto, focalizzato sul colore e sull’emotività. “L’arte – scrive nel 1918 nel saggio Confessione creatrice – non riproduce il visibile, ma rende visibile. La natura dell’arte grafica conduce facilmente e legittimamente all’astrazione. Allora si rivela il carattere fantomatico, mitico, quello che gli occhi della fantasia possono scorgere: e si manifesta con una grande precisione.” Klee ha dedicato gran parte della sua carriera all’insegnamento prima nella scuola della Bauhaus e poi a Dusseldorf. Morirà esule a 80 anni dopo essere stato perseguitato dai nazisti perché ritenuto “ebreo e straniero” ed emblema di un’arte degenerata.

Jannis Kounellis, Senza titolo, 2016, lamina di ferro, tessuto, spago, gancio d'acciaio, 100x70x25 cm, Collezione Roberto Casamonti, Courtesy Tornabuoni Arte

Jannis Kounellis

(Il Pireo 1936 – Roma 2017)

Artista di origine greca naturalizzato italiano, è stato uno dei principali esponenti dell’Arte Povera. Attraverso l’utilizzo di materiali di scarto Kounellis crea installazioni artistiche volte ad espandersi oltre i limiti fisici del quadro, imbastendo un legame tra l’opera e l’ambiente circostante. Inserisce inoltre nella propria arte elementi naturali come il fuoco, l’acqua e le pietre che offrono al visitatore non solo esperienze visive ma anche olfattive e sonore, in particolar modo facendo uso della trasformazione dei materiali attraverso la combustione.  Egli non abbandona comunque riferimenti alla tradizione classica, legata alle sue origini greche e alla città d’adozione, Roma. Questo legame con il passato si fa ancora più significativo dato il suo difficile rapporto con il presente, dando vita a opere che rappresentano varchi temporali, come porte. Nel 1972 partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia, esponendo in seguito in svariate mostre e realizzando importanti installazioni di arte pubblica in tutto il mondo.

Roy Lichtenstein, Coup de chapeau II, 1996, bronzo dipinto e patinato, 231x51x33,5 cm, Collezione privata

Roy Lichtenstein

(New York 1923 – 1997)

Roy Lichtenstein è stato insieme ad Andy Warhol uno dei principali esponenti della pop art americana. La sua opera è ispirata dalle stampe di giornali e fumetti, in particolare a quelle realizzate con il retino tipografico, sistema di stampa dai caratteristici pois, che giustapposti creano sfumature di colore nelle immagini. Unisce in questo modo la sua arte “colta” ad un mezzo “popolare”, riproducendo su tele di grandi dimensioni le strisce dei fumetti e le immagini ad essere ispirate. Il fumetto diviene strumento di comunicazione artistica, con tanto di “balloon”, il fumetto con il testo, dai colori vivaci e accattivanti, portando così le immagini dall’edicola ai musei e riscuotendo un grande successo fin dai primi anni Sessanta. Lo stile dei suoi dipinti viene anche nelle sue opere scultoree, come nella serie dei Coup de Chapeau.

Roy Lichtenstein, Girl in the mirror, 1965, smalto su acciaio, 107×107 cm, Collezione privata

 

 

 

Osvaldo Licini, Angelo di San Domingo, 1957, olio su faesite, 78x90,5 cm, Courtesy Collezione Gori — Fattoria di Celle, Pistoia

Osvaldo Licini

(Monte Vidon Corrado 1894 - 1958)

Dopo essere rimasto ferito durante i combattimenti della Prima Guerra Mondiale, Osvaldo Licini trascorre parte della convalescenza a Parigi, dove entra in contatto con Pablo Picasso, Jean Cocteau e Amedeo Modigliani. Il suo lavoro nel corso degli anni risente di differenti influenze, spaziando da uno stile più naturalista fino a quello che lui stesso definisce “fantastico”, e mantenendo una tavolozza simile a quella di artisti come Klee e Miró, fatta di blu violacei e colori primari in contrasto con contorni scuri. Nei primi anni Venti espone in Francia al Salon d’Automne e al Salon des Indépendants, per poi essere chiamato a partecipare a Milano alle prime due edizioni della Mostra del Novecento Italiano curata da Margherita Sarfatti. La sua carriera prosegue con successo e lo vede portare la sua arte in diverse sedi nel mondo. In occasione della XXIX Biennale d’arte di Venezia gli viene dedicata un’intera sala dove, con un allestimento di Carlo Scarpa, espone 43 opere e riceve il Gran premio internazionale per la pittura.

Giacomo Manzù, Colomba, 1980, bronzo, 26,5x15x20 cm, Collezione Lazzeri

Giacomo Manzù

(Bergamo 1908 – Aprilia 1991)

Pseudonimo di Giacomo Manzoni, Manzù rappresenta uno dei più interessanti scultori italiani del Novecento. Dodicesimo di quattordici figli, apprende fin da giovanissimo a lavorare e intagliare il legno. Nel 1930 si stabilisce a Milano dove decora la Cappella dell’Università Cattolica di Milano e realizza le sue prime opere in bronzo, dedicandosi contemporaneamente al disegno, all’incisione, all’illustrazione ed alla pittura. Ispirato da Medardo Rossi comincia a modellare teste in cera fino a portare nella sua scultura quell’attenzione e quell’interesse per le volumetrie dei corpi che si traduce in una progressiva geometrizzazione dei soggetti, spaziando tra figure religiose – come ad esempio i cardinali – e temi laici. Insegna in numerose accademie, tra cui quelle di Brera, di Torino e Salisburgo. Nella sua lunga carriera si dedica anche alla scenografia per il teatro e la sua fama di sculture si diffonde fino in Giappone dove, nel 1973, gli viene dedicata una personale al Museo d’Arte Moderna di Tokyo.

Fausto Melotti, L'acrobata invisibile, 1980, ottone, 66x28x22 cm Collezione privata

Fausto Melotti

(Rovereto 1901 – Milano 1986)

Dopo gli studi scientifici e una laurea in ingegneria elettrotecnica, Melotti si dedica alle arti conseguendo il diploma di pianoforte e frequentando corsi d’arte a Torino e in seguito Brera, dove studia assieme a Lucio Fontana. Nel 1935 aderisce al movimento Abstraction-Création, fondato a Parigi alcuni anni prima, con lo scopo di promuovere e diffondere l’opera degli artisti non figurativi, e partecipa alla prima mostra collettiva di arte astratta a Torino assieme al gruppo degli astrattisti milanesi. Le opere scultoree di Melotti sono il risultato di un pensiero che si traduce sulla materia come pura forma, in una sorta di “astrazione musicale”. La ricerca di Melotti verte, infatti, sulla volontà di tradurre in scultura la musica, con i propri suoni e le pause, che divengono nella forma pieni e vuoti. Durante la Seconda Guerra Mondiale inizia a lavorare come ceramista, attività che lo accompagna nella maturità ma che lui porta avanti solo per sostentamento, sebbene la critica consideri le sue produzioni in ceramica tra le migliori espressioni del Novecento italiano.

Arturo Martini, Ofelia, 1931, terracotta, 53,1x17x19 cm, Collezione Lazzer

Arturo Martini

(Treviso 1889 – Milano 1947)

Scultore di rilievo del Novecento italiano, Martini dimostra fin dagli inizi della sua carriera una forte sensibilità per la materia e una buona versatilità per i soggetti. Tra il 1918 e il 1922 è vicino al gruppo di Valori Plastici e riscopre le sculture classiche e antiche, al punto da modificare la propria espressività artistica ancora legata al naturalismo ottocentesco. Prende avvio così un linguaggio a metà strada tra la contemporaneità e la tradizione classica, caratterizzato dall’originalità dell’invenzione e dalla vitalità della forma. Tra il 1911 e il 1933 affronta per ben 5 volte il personaggio shakespeariano dell’Ofelia, rappresentandola in momenti differenti del dramma. Negli ultimi anni si dedica alla pittura, abbandonando la scultura che considera ormai “lingua morta”.

Plinio Mesciulam, Mezzo busto di donna, 1950 circa, olio su tela, 127x120cm, Collezione privata

Plinio Mesciulam

(Genova 1926 – 2021)

Nome di rilievo tra i pittori astratti italiani del dopoguerra, il genovese Plinio Mesciulam entra a far parte tra il 1952-1955, del comitato MAC (Movimento Arte Concreta), incentrato sulla ricerca del rapporto tra segno, colore e forma, con il tentativo di distaccarsi dall’egemonia dell’immagine figurativa. Le sue ricerche astratte vengono però ben presto messe in discussione, e i suoi lavori si tingono di nero. Si dedica dunque allo studio dell’arte seicentesca e approfondisce le tematiche bibliche del Nuovo Testamento, mentre le sue opere diventano sempre più materiche. A cavallo tra gli anni ’60 e ’70 rimane attratto dalla forza comunicativa delle immagini pubblicitarie, e inizia a lavorare anche con fotomontaggi capaci di fornire nuove prospettive, soprattutto in rapporto con l’architettura. La sua ricerca proseguirà lungo tutta la sua vita e le sue opere troveranno spazio nelle collezioni nazionali e estere.

Joan Miró, Composizione, 1969, gouache, 44x57 cm, Collezione privata

Joan Miró

(Barcellona 1893 - Palma di Maiorca 1983)

Artista tra i più importanti del Novecento, Joan Miró fu definito da André Breton “il più surrealista tra tutti noi”. Appassionato d’arte fin dalla tenera età, dopo gli studi svolti in Spagna si reca a Parigi, dove entra in contatto prima con i dadaisti e poi con i surrealisti, sebbene non aderisca mai al movimento. Le sue opere sono libere da impianti prospettici, da costrizioni formali e dai filtri della ragione. All’origine del processo creativo vi è un soggetto, riconoscibile solo nel titolo finale delle opere, che l’artista rielabora mentalmente fino a dare vita a composizioni quasi fantastiche. Negli anni cinquanta vince il premio per la grafica alla Biennale di Venezia e il Premio Internazionale Guggenheim per la realizzazione di due murales in ceramica per la sede centrale dell’Unesco a Parigi. La sua ricerca prosegue nel corso di tutta la vita, sperimentando tecniche e materiali differenti, e il suo successo si espande rapidamente in tutto il mondo.

Giorgio Morandi, Natura morta, 1941, olio su tela, 43x58 cm, Collezione privata, Firenze

Giorgio Morandi

(Bologna 1890 – 1964)

Formatosi all’Accademia di Belle Arti di Bologna assieme a Osvaldo Licini e Severo Pozzati (Sepo), Morandi sviluppa fin da subito un linguaggio espressivo che trae ispirazione dall’ambiente domestico quotidiano. Pur non disdegnando soggetti quali paesaggi e ritratti, è tra le celebri bottiglie e le nature morte dai toni terrosi che si manifesta l’intera sensibilità del pittore. In maniera silenziosa Morandi racconta la vita, il trascorrere dei giorni, le concrezioni di vissuto che si annidano sul tavolo della cucina. La quiete della sua vita, trascorsa sempre nella casa bolognese con le sorelle, si rispecchia nelle sue opere, mai chiassose. Gli oggetti di Morandi, sebbene mai minuziosamente riprodotti, risultano verosimili e concreti, e sono i veri protagonisti delle sue tele, investiti di una sorta di monumentalità. Morandi espone frequentemente all’estero e gode del favore dei più esclusivi ambienti internazionali dove riceve anche prestigiosi riconoscimenti quali il primo premio alla Biennale di San Paolo del Brasile, nel 1957.

Bridget Riley, Greensleeves, 1983, olio su lino, 164,5x141,9 cm, The Levett Collection

Bridget Riley

(Londra 1931)

L’artista inglese Bridget Riley si forma prima al Goldsmiths College e poi al Royal College of Art. Influenzata inizialmente dall’impressionismo e dal puntinismo, attorno agli anni ’60 il suo interesse è indirizzato verso gli effetti ottici e le forme geometriche, divenendo precursore di quella che prenderà il nome di Optical Art. Nel 1968 la Riley rappresenta la Gran Bretagna alla XXXIV edizione della Biennale di Venezia ed è la prima artista femminile a ricevere il Gran Premio per la pittura. Dopo un viaggio in Egitto negli anni ’80 la sua ricerca artistica si volge anche al colore e ai contrasti cromatici. Tra le numerose mostre dell’artista spiccano quelle alla National Portrait Gallery (2010) e alla National Gallery (2010-2011) di Londra, all’Art Institute di Chicago (2015) e a Punta della Dogana a Venezia (2013-15).

Ottone Rosai, Circo, 1933, olio su cartone, 123x93 cm, Collezione Franco Farsetti, Prato

Ottone Rosai

(Firenze 1895 – Ivrea 1957)

Il percorso artistico di Rosai è segnato da una forte passione per la pittura che egli porta avanti nonostante le numerose avversità e i problemi economici che coinvolgono la sua famiglia. Quello di Ottone Rosai può essere definito un primitivismo di matrice umanistica toscana, che prende spunto dalla pittura del Trecento e Quattrocento. Con la sua arte Rosai racconta la quotidianità della sua città, Firenze, dei mercati e delle bettole, e dei soggetti che le popolano. Non c’è banalità o ingenuità nella realtà di Rosai, ma veridicità delle classi popolari tratteggiate con la pietas di chi vuole raccontare un’umanità umile ma fiera. Alla raffigurazione di quelli che lui definisce “omini” si affiancano le vedute delle colline toscane, che immortalano la Firenze nei primi decenni del secolo. L’assetto pittorico di Rosai risente delle opere di Cézanne e anticipa il “ritorno all’ordine”, guardando alla tradizione di Masaccio e Paolo Uccello.

Mimmo Rotella, Fetish, 1999, decollages su tela, 139x120 cm, Collezione Roberto Casamonti, Courtesy Tornabuoni Arte

Mimmo Rotella

(Catanzaro 1918 – Milano 2006)

Figura di spicco dell’arte italiana della seconda metà del XX secolo, Domenico Rotella si avvicina all’arte con uno stile astratto-geometrico, rimanendo aperto alla sperimentazione. Negli anni Cinquanta è tra i primi a utilizzare il décollage, tecnica artistica che consiste nello staccamento di parti da un oggetto artistico, con un procedimento opposto a quello del collage nel quale invece gli elementi vengono aggiunti.  La sua ricerca in questo senso inizia in chiave astratta partendo dai manifesti pubblicitari strappati sui muri. Dopo pochi anni i décollage di Rotella divengono figurativi, andando a privilegiare immagini tratte dal mondo del cinema – locandine pubblicitarie di film che vengono strappate come se fossero lasciate esposte alle intemperie e al passare del tempo. Negli anni ’60 Rotella aderisce al Nouveau Réalisme di Pierre Restany e si trasferisce a Parigi dove rimane fino agli anni ’80 prima di rientrare in Italia.

Alberto Savinio, Oggetti abbandonati nella foresta, 1928, olio su tela, 95x121,5 cm, Collezione Franco Farsetti, Prato

Alberto Savinio

(Atene 1891 - Roma 1952)

Pseudonimo di Andrea Francesco Alberto de Chirico, Savinio è uno dei protagonisti dell’arte italiana tra le due Guerre. La sua arte, dallo spiccato sentimento onirico e fantastico, si interseca con la tradizione classica, greca e mediterranea. Nascono da questo incontro opere ironiche, con riferimenti all’infanzia e al mondo fantasioso dei bambini.  Figure umane con teste zoomorfe appaiono nelle sue tele insieme a riferimenti alla sua infanzia in Grecia. Gli oggetti diventano giganteschi, non obbediscono a un ordine prospettico e ad una gerarchia volumetrica. Musicista e illustratore, Savinio collabora anche con giornali e riviste oltre a realizzare molti allestimenti teatrali come coreografo e scenografo di opere liriche, sia per il Teatro della Scala che per il Maggio Musicale Fiorentino.

Hiroshi Sugimoto, Conceptual Forms 0012, 2004, stampa fotografica alla gelatina d’argento, 85,8x72,7 cm, Collezione Nunzia & Vittorio Gaddi

Hiroshi Sugimoto

(Tokyo 1948)

Tra i più importanti fotografi contemporanei, Hiroshi Sugimoto studia a Tokyo sociologia e politica prima di trasferirsi negli Stati Uniti per studiare fotografia. Esponente della fotografia “seriale”, realizza scatti che risentono fortemente dell’arte concettuale e minimalista, proveniente anche dalla cultura asiatica e in particolare nipponica.  Le serie fotografiche di Sugimoto possono essere realizzate in tempi anche molto ampi di diversi anni, e ognuna rappresenta un unico tema affrontato talvolta anche con tecniche e tempi di esposizione diversi. Pur prediligendo la foto in bianco e nero, Sugimoto non si preclude alla sperimentazione cromatica. Le sue fotografie sono presenti nelle collezioni di più importanti musei del mondo quali il Metropolitan Museum of Art e il MoMA di New York, la National Gallery of Art di Washington DC e la Tate Gallery di Londra.

Pascale Marthine Tayou, Chalks and Pins W, 2012, gessi e spilli, 165x212 cm, Collezione privata

Pascale Marthine Tayou

(Yaounde 1967)

La produzione artistica di Pascale Marthine Tayou è eclettica ed eterogenea, in continua mutazione e evoluzione. La ricerca dell’artista camerunense, condotta durante i suoi viaggi da una parte all’altra del mondo, trova fondamento nell’analisi dell’identità sia essa culturale – attraverso il ricorso a una gamma cromatica che ci ricorda i paesaggi africani – sia individuale, come rivela la scelta di assumere come nome d’arte quello composto dal cognome del padre “Pascal” trasformato al femminile con l’aggiunta di una “e”, e il nome della madre “Martine” a cui aggiunge una “h” per renderlo più personale. Le sue opere, siano esse sculture, installazioni o video si interrogano sul tema della mediazione geografica e politica, sui viaggi, visti come mezzo di conoscenza di sé e di cambiamento che supera l’idea di confine. Pascale Marthine Tayou ha partecipato a Documenta a Kassel nel 2002 e alla Biennale Arte di Venezia nel 2005 e nel 2009; recentemente ha realizzato un’imponente opera di arte pubblica per il MAXXI di Roma, quale omaggio alla città da cui partono tutte le strade che abbracciano la terra.

Rirkrit Tiravanija, Shut-up and eat pad thai, 2005, foto, 176x141 cm, Collezione Privata, Firenze

Rirkrit Tiravanija

(Buenos Aires 1961)

Argentino di nascita ma tailandese di origine familiare, Rirkrit Tiravanija ha vissuto in molti paesi frequentando corsi da Toronto a Chicago e seguendo infine l’Independent Study Program al Whitney Museum of American Art di New York.  Tra gli esponenti più rappresentativi di quella che è stata definita “estetica relazionale”, i suoi lavori hanno espliciti richiami alle correnti concettuali di avanguardia degli anni ’60-’70, come Fluxus con i suoi Happening. Egli infatti attua nelle sue opere processi di condivisione, relazione ed interazione con il pubblico attraverso azioni del quotidiano come cucinare o consumare cibi. È stato più volte presente alla Biennale di Venezia con i suoi lavori ed ha esposto in numerosi musei internazionali come il Reina Sofia di Madrid, il Guggenheim Museum e il MoMA di New York, il Palais de Tokyo di Parigi.

Andy Warhol, Portrait of Man Ray, 1974, inchiostro acrilico e serigrafato su lino, 108x108 cm, Collezione privata

Andy Warhol

(Pittsburgh 1928 – New York 1987)

Andy Warhol è considerato a pieno titolo uno dei più grandi geni artistici del suo secolo. Padre della Pop Art incarna l’atmosfera dell’America del boom economico post bellico, portando al centro della scena artistica oggetti di uso comune e quotidiano. Divengono celebri i barattoli di latta della zuppa Campbell o la scatola del detersivo Brillo, che egli riproduce in maniera seriale. Attraverso le sue raffigurazioni la scena dell’arte viene invasa da immagini pubblicitarie e dai volti delle icone del cinema e della società: da Marilyn Monroe a Liz Taylor, da Jackie Kennedy a Man Ray. I ritratti riprodotti in serie smarginano e sbiadiscono nel processo di stampa, i colori fuoriescono dai contorni e si deteriorano. Con Warhol la produzione artistica si crea all’interno di una vera e propria Factory – un luogo che riassume lo spirito delle antiche botteghe d’arte con una vera e propria fabbrica industriale – dove egli lavora con i suoi collaboratori. La sua produzione è conosciuta in tutto il mondo e lo ha reso una vera icona di stile degli anni ’60 e ’70.

Francesca Woodman, Untitled (from EEL SERIES), 1977-1978, stampa fotografica alla gelatina d’argento, 48,7x47,9 cm, Collezione Nunzia & Vittorio Gaddi

Francesca Woodman

(Denver 1958 – New York 1981)

Figlia d’arte, Francesca Woodman incontra la fotografia fin da bambina quando, all’età di 10 anni il padre le regala la sua prima macchina fotografica, alla quale si appassiona e che diventa oggetto dei suoi studi. La Woodman fotografa e si auto-fotografa in scatti suggestivi, tormentati, in cui il volto è spesso nascosto ma il corpo si esprime in modo forte. La sua fotografia affascina e conquista, mostrando, attraverso il processo del celare, un’inquietudine profonda che cerca di urlare e di emergere dai suoi scatti. Studia in prestigiose scuole d’arte in giro per gli Stati Uniti ed è appassionata di surrealismo che reinterpreta a suo modo nei suoi scatti. Viaggia anche in Italia, soprattutto a Roma, città che la influenza e che infonde una sorta di classicismo alle sue opere. L’inquietudine rimane comunque sempre presente non solo nei suoi lavori ma anche nella sua vita, e nel 1981 a soli 22 anni porta la Woodman al suicidio, forse incapace di gestire la notorietà e l’attenzione che la sua arte stava iniziando a riscuotere. Numerose le retrospettive a lei dedicate in prestigiosi musei quali il Metropolitan Museum di New York.

Ai Weiwei, Girolamo Savonarola, 2016, mattoncini Lego, 152x114 cm, Collezione Privata, Firenze

Ai Weiwei

(Pechino 1957)

Artista e attivista cinese, Ai Weiwei studia negli Stati Uniti per poi tornare in patria dove avvia la sua carriera come artista concettuale. Figura poliedrica, è infatti anche architetto, designer e regista, e utilizza la sua arte come manifesto per supportare gli oppressi, unendo l’attivismo per i diritti umani e alla volontà di raccontare la storia del suo Paese.  La denuncia politica attraverso la sua arte gli ha causato numerosi problemi legali in Cina; il suo studio a Shanghai è stato infatti fu demolito dalle autorità locali ed egli stesso detenuto per oltre 80 giorni. Durante l’arresto numerose istituzioni culturali internazionali hanno avviato petizioni in suo favore e la sua battaglia per i diritti umani in favore della libertà di espressione in Cina ha avuto un’eco internazionale. Le sue opere sono state esposte in tutto il mondo.